lunedì 27 gennaio 2014

I TEDESCHI SONO CATTIVI

Un'austera seduta dell'inflessibile Bundestag, il Parlamento tedesco

La nuova litania di regime recita: "questo euro è buono e giusto ma è la Germania a rovinare tutto con il suo egoismo". Il ritornello è intonato, ovviamente, da chi ci ha cacciato in questo tunnel (i fautori del "sogno europeo", Prodi in primis) e non vuole assumersene la responsabilità, scaricandola anzi sulla gente e sui politici tedeschi. Poco importa a costoro se con questo atteggiamento concorrono a creare un elemento di ostilità tra i popoli: per la propria reputazione, e quindi per la cadrega, questo e altro! 

Le cose stanno però in altro modo. L'euro è stato forse non concepito (probabilmente le intenzioni iniziali erano altre), ma certamente costruito su misura di grande industria e grande finanza, ovvero dei famosi "mercati", a detrimento del benessere della maggioranza della popolazione. Le politiche di austerità sono connaturate alla moneta unica e alle istituzioni euriste e non sono un'imposizione dei "cattivi tedeschi": perciò finché c'è questa Ue, questo euro, questa Bce che vigila solo sulla stabilità dei prezzi e si rifiuta di stimolare la crescita, con questi funzionari, imbevuti fino alle midolla di ottusa ideologia dell'austerità, tali politiche proseguiranno. Certo, se i tedeschi fossero meno inflessibili e meno miopi, i danni sarebbero stati e sarebbero minori. Ma la sostanza non cambierebbe. Perché il problema non sono i tedeschi ma l'elite finanziaria che ha imposto questa Ue e questo euro. Il problema, in una parola, è lo strapotere dei mercati che sono stati capaci, attraverso il progetto della moneta unica europea, di diventare i veri detentori del potere politico, quando uno degli scopi primari del potere politico dovrebbe essere proprio quello di regolamentare i mercati e tenerne a freno gli abusi a vantaggio del benessere generale. 
I controllati sono diventati controllori di se stessi e qui la colpa non è del popolo tedesco ma di quei politici che hanno permesso una simile svendita della sovranità popolare. Sarà bene ricordarsene già da ora per non doverlo constatare quando sarà già troppo tardi.

Nota - Riporto qui sotto un intervento di Guido Grossi di Cittadinanzattiva che mi è sembrato centrato.

"E' vero che l'Euro fa bene alla Germania, ma è una coincidenza. L'Euro nasce con lo scopo di favorire gli interessi del grande capitale finanziario internazionale (neppure europeo... internazionale) legato alle grandi aziende multinazionali. Il suo obiettivo principale - dichiarato e raggiunto - è quello di anteporre la stabilità della moneta a qualsiasi altro interesse. Se la deflazione, che è il contrario dell'inflazione, semina distruzione nell'economia produttiva reale, con disoccupazione crescente, precarietà, chiusura di aziende, non importa. Tutto viene sacrificato sull'altare della stabilità della moneta.

Ora dobbiamo vederlo: l'inflazione è il vero nemico del grande capitale finanziario. Chi ha disponibilità monetarie e crediti, solo lui ha molto da temere dalla perdita di valore della moneta e dei crediti. Ma a noi raccontano l'esatto contrario: ci dicono che l'inflazione è una tassa ingiusta che danneggia il poveraccio. La povera gente non ha crediti, e tantomeno disponibilità monetarie. Sono balle evidenti. La bassa inflazione e le crisi economiche regalano alle multinazionali un esercito di disoccupati disperati disposti ad accettare paghe sempre più basse, e cittadini rassegnati a vedere la fine dello stato sociale, pur di campare.

Perché la Germania trae beneficio dall'Euro? Perché in Germania ci sono più multinazionali che in Italia o Spagna, e perché la Germania è culturalmente terrorizzata dall'inflazione, tanto da essersi attrezzata da tempo a convivere con livelli più bassi. Noi no. Noi abbiamo solo da rimetterci. Ma con chi ce la vogliamo prendere: con la Germania, oppure con il grande capitale internazionale?"

lunedì 13 gennaio 2014

LE TRE LEZIONI DEL BLUFF HOLLANDE


Il presidente francese nel tempo libero ama andare in moto
Hollande è nei guai fino al collo ma in questa sede le sue vicende personali interessano poco o nulla. Il fatto è che la popolarità del presidente francese non è calata oggi per questioni di vita amorosa ma è in picchiata da mesi per ragioni - molto più serie - di politica economica. La Francia in questo ultimo anno ha infatti mostrato un peggioramento continuo nell'economia reale e nella finanza pubblica, che Hollande sta contrastando con le stesse, dolorose e inefficaci misure di riduzione della spesa pubblica che vengono somministrate ovunque nell'Eurozona. La scontentezza dei francesi verso il loro presidente viene da qui ed era facilmente preventivabile, così come è preventivabile un'ulteriore ascesa del Front National. La parabola discendente di Hollande dimostra almeno tre cose che sosteniamo da mesi, anzi da anni, e che all'inizio venivano accolte con scetticismo (o addirittura respinte con arroganza da qualche incompetente) e che ora sono chiare come il sole:

1. L'Eurozona è un vestito fatto su misura dell'area del marco: va bene solo a Germania, Austria e forse Belgio. Tutti gli altri Paesi sono prima o poi destinati al disastro, un disastro che presto o tardi coinvolgerà anche la Germania, privata dei suoi mercati di sbocco (che non sono certo la Cina o l'India ma proprio la Ue);

2. Il disastro non colpisce solo pigri e inefficienti Paesi mediterranei ma sta per arrivare anche a popoli "virtuosi" e nordici come il francese, l'olandese e il finlandese. Ergo, le spiegazioni di tipo culturale, etico o antropologico ("se siamo in crisi non è per colpa dell'euro ma perché abbiamo la mafia, la corruzione, Berlusconi, la burocrazia ecc.") sono sbagliate e fuorvianti. Esistono certo anche questi problemi ma sono secondari. La verità è che siamo in crisi perché l'Eurozona crea squilibri crescenti insostenibili e condanna la maggioranza della popolazione a disoccupazione, precariato e bassi salari, in nome di profitti crescenti per i grandi gruppi industriali e finanziari;

3. Hollande è come Letta o Renzi: è di sinistra solo nominalmente e non ha nè il coraggio nè l'intenzione di contrastare il disegno liberista di Bruxelles e dei mercati, che anzi serve fedelmente. E' il "macellaio dal grembiulino rosa" (per dirla con Alberto Bagnai): la distruzione dei diritti sociali ed economici del Welfare fa meno impressione se a condurla è un governo di (sedicente) sinistra, perché sul rosa del suo grembiule progressista il rosso del sangue dei poveri Cristi si vede meno. Ne consegue anche che coloro che credevano alla favoletta di Letta che assieme ad Hollande avrebbe condotto a più miti consigli quella cattivona di destra della Merkel erano, appunto, dei poveri illusi. La verità è che, non solo in Italia ma in mezza Europa, la sinistra "ufficiale" è diventata liberista quanto la destra e ha tradito la propria funzione. 

Ora rimane da sperare nel popolo francese, uno dei pochi in Europa dotato ancora di orgoglio nazionale (purtroppo, ahimé, anche nelle forme reazionarie alla Le Pen) e soprattutto di attaccamento allo Stato sociale, direi anzi allo Stato tout-court inteso come entità in cui riconoscersi e come attore fondamentale di un'economia in cui il mercato è libero ma subordinato al bene della collettività. C'è da augurarsi che l'opinione pubblica transalpina faccia fare marcia indietro a Hollande e metta in crisi irreversibilmente il lucido e letale progetto di questa Europa della finanza.