lunedì 9 dicembre 2013

LA DESTRA, LA SINISTRA E RENZI



La foto che Matteo Renzi tiene sul comodino


L'approdo di Matteo Renzi alla segreteria dei democratici completa la mutazione genetica del Pd. Quello che fu il più grande partito comunista d'Occidente e che, nel 1989, si trasformò in un partito progressista di massa, in teoria garante dei ceti medio-bassi e della giustizia sociale, pur in un quadro di accettazione del libero mercato, oggi è ormai anche nella forma e non solo nella sostanza il partito del liberismo. Assieme a Scelta Civica, che però conta assai poco, il Pd è la forza politica che più di tutte in Italia è portavoce della religione liberista secondo cui i mercati, se liberati dal controllo dello Stato, dalle sua inefficenza e dalla sua burocrazia, sono in grado di autoregolarsi e di garantire ricchezza e benessere promuovendo il merito. "Religione liberista", dico, in quanto una simile convinzione non è stata affatto confermata dalla teoria economica e dagli eventi, e quindi viene portata avanti quasi fosse un articolo di fede. 

Renzi, imitando con dieci anni di ritardo l'uomo che ha distrutto il laburismo inglese, Tony Blair, afferma esplicitamente che "il liberismo è di sinistra", parla di "merito" come chiave del successo personale e collettivo - lui, politico figli di politici che nella vita non ha mai fatto altro che il politico - e ha già chiarito quali sarà la sua linea di condotta nei temi che contano, quelli economici e sociali (il resto, rottamazioni, inciuci, larghe o strette intese, diritti civili, sono tutti temi agitati per tenere occupati i gonzi ma non hanno nessuna importanza): altre privatizzazioni, ulteriori tagli allo Stato sociale con la scusa degli sprechi (scommettete che i privilegiati tali rimarranno?), acquiscienza sostanziale alle politiche di austerità europee con relativa affannosa ricerca di fondi da passare ai creditori di Bruxelles e Berlino, magari - come ha già annunciato -  tagliando le pensioni e mandando a casa qualche centinaia di migliaia di pubblici dipendenti. 

Intendiamoci: il Pd, legato a doppio filo all'Europa della finanza, queste politiche le persegue da anni. Ma i Bersani e gli Epifani almeno fingevano di avere ancora qualcosa di sinistra. Renzi, dicendo che il liberismo è di sinistra, salta a piè pari il problema. Va però detto con chiarezza che sia nella teoria economica che nelle storia economica degli ultimi decenni, il liberismo e il libero scambismo senza regole hanno sono stati sì fattori di crescita, ma dei profitti dei grandi industriali, finanzieri e speculatori, mentre hanno sempre ridotto il potere di acquisto delle masse, borghesia inclusa; hanno innescato grandi bolle che una volte esplose hanno provocato recessioni come quella del 29 e l'attuale; hanno demolito lo Stato sociale, con grandi vantaggi per i gruppi privati che si sono assicurati la gestione di beni e servizi pubblici ma creando grandi difficoltà alla maggioranza della popolazione. 

Insomma, se per destra e sinistra - come insegnava Norberto Bobbio - si intendono due tendenze contrapposte (la prima privilegia il valore della libertà anche a costo di creare disuguaglianza, la seconda quello della giustizia sociale, anche a costo di limitare la libertà), e io non vedo altro modo di intenderle (lasciamo perdere la cosiddetta destra sociale o corporativista da cui discende anche il fascismo: è un discorso a parte) non ci sono dubbi: Renzi è di destra e il Pd, che lo ha eletto suo segretario con quasi due terzi di preferenze, di sinistra non ha più un bel niente. Neppure la maschera.

Nessun commento:

Posta un commento