venerdì 29 novembre 2013

L'EUROPA DELLE PSEUDO-SINISTRE E LA VOCE DEL PADRONE

Hollande e Letta stringono un patto contro il populismo di destra

Adriana Cerretelli del Sole 24 Ore spiega benissimo in un articolo di ieri: "Chi si illudeva che il ritorno dei socialdemocratici al governo avrebbe ammorbidito le politiche di rigore di Angela Merkel si ritrova smentito su tutta la linea: niente allentamenti, né mutualizzazione dei debiti né solidarietà finanziaria Ue nell'unione bancaria se non come ultimissima spiaggia. Silenzio sulla crescita europea (che non c'è). Invece contratti Ue vincolanti sulle riforme degli altri."

Ecco qua serviti quelli che credevano (o volevano far credere) alla favola del governo Letta che va a sbattere i pugni sul tavolo con l'appoggio dell'ectoplasmatico Hollande e dei "fratelli" dell'Spd! Ecco qua la nuova Europa finalmente solidale perché "non più guidata dalle destre", come se il problema fosse lo stinto colore ideologico dei governi e non la loro irrilevanza rispetto al potere finanziario di cui la Ue è strumento! Ecco un'altro slogan propagandistico smentito dai fatti che finisce in soffitta dopo essere stato impunemente ripetuto per anni.

Che queste verità - che nel nostro piccolo sottolineiamo da tempo - vengano oggi evidenziate anche da un quotidiano "allineato" come il Sole 24 Ore potrebbe sorprendere. Se ci pensate, però, è del tutto normale e logico. Già, perché i giornali destinati alla massa possono continuare a mentire e insabbiare: sono fatti per quello. Ma i fogli dei "padroni", come il Sole 24 Ore, ogni tanto devono parlare direttamente ai loro referenti e quindi ogni tanto la verità debbono dirla: il padrone mica si beve la propaganda ad usum gonzorum, sennò che padrone sarebbe?

giovedì 28 novembre 2013

TITANIC ITALIA

Sobillatori: il professor Luciano Gallino
Stiamo andando contro un iceberg e perdiamo tempo a parlare del menù di bordo. Magari ballando sul ponte del Titanic Italia perché "c'è da festeggiare la decadenza" (sacrosanta) di Berlusconi. Nel 2015 entrerà infatti in vigore il Fiscal Compact ma la stragrande maggioranza della gente e dei commentatori politici continua ad occuparsi d'altro e non si rende minimamente conto di che cosa questa prospettiva ormai vicina significherà per le nostre vite. Proviamo a spiegarlo usando le parole del professor Luciano Gallino, noto populista aduso a sobillare le folle con previsioni terroristiche.

Il Fiscal Compact, spiega Gallino, prevede che "bisogna assolutamente rientrare dal debito in 20 anni, riportandolo al 60% rispetto al Pil. Questo valore del 60% non ha nessuna base scientifica. Poteva essere il 50% o il 70%. Il dogma del 60% però è diventato sacro. Questa decisione impone all'Italia di trovare 50 miliardi di euro ogni anno, per i prossimi venti. Significa l'impossibilità assoluta di farvi fronte. Qualora fosse realizzato questo piano, sarà imposta una miseria rispetto alla quale quella della guerra del 40-45 sarà poca cosa. Questa decisione doveva essere discussa, sottoposta a un referendum, per rendere edotti i cittadini di cosa significava."

Capito? Siamo alla vigilia di una nuova imposizione dell'Europa, che ci costringerà per 20 anni di fila a recuperare 50 miliardi all'anno, quando non riusciamo a trovare le coperture neppure per due miseri miliarducci (a tanto ammonta la rata Imu che è stata discussa per mesi). Questo significherà una distruzione della nostra economia ben peggiore di quella della seconda guerra mondiale. Un massacro per di più inutile: intaccando così pesantemente la spesa pubblica (a un livello tale che il nostro Stato sociale scomparirà), il debito pubblico - che si calcola nel suo rapporto con il Pil - non scenderà mai abbastanza, perché il primo a scendere sarà proprio il Pil. Eppure il dibattito sull'argomento è praticamente nullo. Si va allo sfacelo parlando - come succede da due decenni - di maggiornze parlamentari e dei problemi del neo-decaduto.

Ne scaturiscono alcune ovvie riflessioni.

1. Il Fiscal Compact è la più folle delle follie europee. Il fatto che una simile porcheria non sia stato sottoposta a nessun referendum popolare ma sia stato ugualmente votata dai parlamenti, significa che i parlamenti sono ormai in tutta l'eurozona (il discorso non vale certamente per i Paesi scandinavi e la Uk, che si sono ben guardati dall'entrare nell'euro) non più espressione della volontà popolare ma garanti dei poteri dei mercati, con l'eccezione di forze di opposizione in crescita ma ancora minoritarie e con coloriture ideologiche non sempre rassicuranti. La considerazione ovviamente vale soprattutto per il Parlamento italiano, che più di tutti ha tradito il proprio popolo, visto che il Fiscal Compact per noi sarà particolarmente feroce.

2. I tagli e le "riforme" finora fatte in paragone a quello che ci attende sono stati solo un antipasto. Se non si contesta da subito questo meccanismo, saremo costretti a ricordare con nostalgia persino il pur grigio tempo presente. Altro che ripresa!

3. L'unico Paese che - attraverso una corte di giustizia - ha sollevato obiezioni sul Fiscal Compact dichiarandolo (giustamente) incostituzionale è proprio la Germania, che - al momento - non è tenuto ad applicarlo. Siamo tutti uguali ma in questa Ue qualcuno è più uguale degli altri.

4. Chi ha ideato il Fiscal Compact sa benissimo che esso è irrealizzabile e che, per il banale meccanismo che ho spiegato sopra, non diminuirà affatto il rapporto debito/Pil. Ma a costoro non importa, in quanto il loro vero obiettivo - per chi non lo avesse ancora capito e continuasse a credere alla vulgata di tv e giornali - non è la riduzione del debito, ma lo smantellamento dello Stato sociale e la trasformazione dell'economia sociale di mercato europea (splendida conquista del Novecento) in un sistema economico basato sul darwinismo sociale, dove solo i più ricchi o i più fortunati emergono, mentre la massa non ha più garanzie e deve affidarsi ai privati, quindi pagando, anche per avere servizi di base come la scuola o l'assistenza sanitaria. Chi ha progettato questo piano è cattivo? No, semplicemente fa gli interessi dei grandi gruppi privati, i quali da un'economia basata sulla privatizzazione dei servizi pubblici ricaverebbero enormi profitti.

5. La forza politica che più di tutte appoggia questa autentica rivoluzione liberista indotta da Bruxelles è, incredibilmente, il partito di centro-sinistra per definizione e radici, cioè il Pd, che ha ormai compiuto una totale mutazione genetica. Inutile dire che con Matteo Renzi la sterzata a destra sarà ancora più netta (e forse terminerà l'equivoco di chi ancora si illude che il Pd abbia una natura di sinistra).

6. Parlare di Berlusconi oggi (è la notizia del giorno) è comprensibile. Continuare a farlo anche domani, dopodomani e per altri mesi o anni - come puntualmente avverrà - è demenziale. Significa - appunto - litigare sul menù di bordo senza rendersi conto che la nave sta andando a schiantarsi contro un iceberg. Ed è proprio questo che gli ideatori del Fiscal Compact vogliono.

sabato 23 novembre 2013

QUEL CHE LANDINI E RODOTA' NON DICONO (MAI)




“Il lavoro è decisivo per cambiare il Paese e combattere le diseguaglianze ma negli ultimi anni è stato cancellato e precarizzato. La sola forza della partecipazione potrà portare al miglioramento”. (Maurizio Landini)

"Non vedo a sinistra una forza politica che si fa carico dei diritti negati dei lavoratori".
(Stefano Rodotà)

Tutto giusto ma perché nè Landini nè Rodotà hanno mai il coraggio di indicare chi, nel concreto, ha progettato a tavolino il sistema che ha acuito le disuguaglianze tra classi sociali, ha esteso il precariato e compresso i salari, cioè questa Ue?
Non vi viene il dubbio, Landini e Rodotà, che a sinistra nessuno si fa davvero carico dei diritti dei lavoratori perché la sedicente sinistra nostrana non si decide a contestare seriamente questa moneta unica? Ora capisco che a Rodotà, che è un giurista, il meccanismo di causa-effetto tra questo euro e la demolizione dei diritti sociali sfugga. Ma al sindacalista Landini, via, dovrebbe essere evidente!

Cari Landini e Rodotà, non basta dire - come un Letta qualsiasi - che "ci vuole meno rigore"! Se non avrete il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, anche il vostro impegno non servirà a un bel nulla: è impossibile "difendere i diritti negati" della gente comune se non si mette radicalmente in discussione il sistema che li ha distrutti. Cioè questo euro e questa Ue.

mercoledì 20 novembre 2013

LA FOGLIA DI FICO

Per vincere le primarie Civati non disdegna il voto dei felini.
"Non mi ritrovo più in questo Pd. Per questo voglio cambiarlo: basta con le larghe intese, basta con il ricatto continuo sulla tenuta del governo. Che devono pensare gli italiani di gente che dice: "penso una cosa, ma ne voto un'altra?".

Nel giorno della (scontata) riconferma della furbetta Cancellieri al ministero degli Interni, Pippo Civati, alias Ciwati o Ci-voti (tutti nomignoli che lui stesso si è inventato) sforna un'altra perla. Davvero fantastico Civatino! Non fa che lamentarsi del partito in cui milita ma non prende mai l'unica decisione coerente e sensata: andarsene. E perché? Ma è ovvio, perché - come ripete un giorno sì e l'altro pure - intende rimanere per "cambiarlo dal di dentro"! Magari potrebbe farsi prete per cambiare la Chiesa dal di dentro e farla diventare favorevole ai matrimoni gay. Oppure iscriversi a Forza Nuova e farla diventare un partito socialdemocratico.

Già, perché non è affatto vero che la maggioranza dei parlamentari democratici pensa una cosa e ne vota un'altra, quasi costretto da un manipolo di venduti (di volta in volta i "renziani", i "dalemiani", i "101" e altre fantomatiche organizzazioni cospirative). La maggioranza dei parlamentari del Pd è invece bella compatta, perché ha sposato (non è bello ma è umano) la causa della poltrona e pensa giustamente che per tenersela stretta bisogna accontentare i veri padroni (i mercati e Bruxelles, capaci di mandarti a gambe all'aria a suon di spread). E altrettanto giustamente pensa che a questo fine le larghe intese vadano benissimo, visto che tra l'altro offrono al partito un bell'alibi: quello di poter fare macelleria sociale scaricando la colpa sui "tecnici". 

E che le cose stiano così, Civati - al contrario di molti dei suoi fan, spesso in buona fede - lo sa benissimo. Ma non lo dirà mai. Almeno fino a quando non avrà la certezza di avere, fuori dal Pd, gli stessi consensi che ha facendo - dall'interno - la foglia di fico.

martedì 19 novembre 2013

RENZI, IL PD E I PENSIONATI

L'economia continua a peggiorare, di ripresa non si hanno che flebili segnali, per di più resi insignificanti dall'aumento esponenziale della disoccupazione e del precariato, le misure imposte dalla Ue e zelantemente sostenute dal direttorio Letta-Napolitano non hanno portato alcun risultato positivo, eppure nei sondaggi - mentre riprende l'inevitabile e meritata, aggungo io, discesa del centro-destra - il Pd, cioè il partito che queste politiche fallimentari ha sostenuto con più convinzione, sembra godere di buona salute, con una percentuale di consensi che va dal 25 al 30%.  Sappiamo quanto i sondaggi siano inaffidabili: in passato hanno regolarmente sovrastimato di cinque o più punti percentuali i democratici e sottostimato di altrettanti punti percentuali gli avversari. Anche tenendo conto di questo fatto, però, i numeri esibiti dagli istituti di ricerca appaiono sorprendenti. In Francia, Hollande paga la sua subalternità a Berlino e a Bruxelles con un livello di gradimento bassissimo: solo il 15%. Come mai allora il partito di Letta e del "morire per Maastricht" non accusa una flessione simile?

Le ragioni sono numerose. Per esempio il radicamento nel territorio del Pd, con la sua pletora di amministratori, funzionari di partito e di sindacato che devono difendere la propria poltrona. La sessantennale fedeltà degli ex elettori del Pci, che non hanno ancora chiaro come non ci sia ormai alcuna continuità ideologica tra il partito di Berlinguer e quello di Epifani e continueranno a votare per una storia che si è chiusa da anni. Oppure, l'effetto-Renzi, che porta non pochi elettori di centro-destra a confluire nel Pd per premiare il sindaco di Firenze, visto come il salvatore della patria. Secondo me però la ragione principale è un'altra, ed è che l'elettorato del Pd è costituito principalmente da categorie che non hanno sentito ancora la crisi sulla propria pelle. O che l'hanno sentita meno di altri. Mi riferisco ai pensionati, ai dipendenti pubblici (o di grandi imprese private nelle quali il sindacato ha ancora una presenza e riesce ancora a dare una tutela, seppur mediocre) e ovviamente al ceto pseudo-intellettuale organico all'ex-Pci, di cui una parte della stampa e del mondo dello spettacolo è un esempio. Questi ultimi sono influenti ma rappresentano un numero contenuto di persone. I dipendenti pubblici e i pensionati sono invece un esercito.

Certo, anche costoro finora sono stati aggrediti dalle misure pro-austerità, come dimostra il blocco delle assunzione e dell'indicizzazione dei salari nella pubblica amministrazione. Ma i loro stipendi, le loro rendite e i loro diritti finora sono stati toccati molto meno di quanto non sia avvenuto per altre categorie: precari sottopagati per i quali è impossibile o quasi trovare un posto di lavoro dignitoso; disoccupati che hanno persino smesso di cercare lavoro e si sono arresi; dipendenti di piccole e medie aziende mandati a casa senza ammortizzatori sociali e senza alcuna speranza di assunzione in altre imprese; piccoli negozianti costretti a chiudere; partite Iva - inclusi non pochi liberi professionisti - che non riescono a chiudere in attivo, magari perché i loro clienti non pagano; laureati che non trovano uno straccio di impiego e vanno all'estero: i più fortunati a fare i ricercatori, gli altri a fare i camerieri a Stoccarda o a Dortmund. Di fronte ai drammi che vivono queste categorie, è chiaro che pensionati con rendite accettabili (non quelli al minimo, ovviamente) e quei lavoratori che ancora sono garantiti in qualche modo dal settore pubblico o dai contratti collettivi sono da considerarsi fortunati! A costoro sono stati chiesti sacrifici ancora sostenibili e per loro non è stato impossibile accettarli e anzi considerarli, per usare la vulgata del partito dell'austerità, "necessari dopo anni di stravizi". Per questo sembra loro conveniente, e anche nobile e giusto, votare Pd e dimostrarsi "responsabili".

Purtroppo temo che queste categorie "fortunate" abbiano fatto male i loro conti. L'austerità non ha messo e non metterà a posto i conti, anzi, li aggraverà, creando le condizioni per ulteriori giri di vite: nuove tasse e soprattutto nuovi tagli. Tra poco sarà la volta proprio del settore pubblico e dei pensionati, che finora sono stati parzialmente risparmiati dalla macelleria sociale. Il Pd per adesso non ha toccato nè gli uni nè gli altri, per non scontentare il proprio elettorato di riferimento, ma a breve sarà costretto a farlo, se vuole rimanere fedele agli interessi di cui è il garante assieme a Scelta Civica e a parte del centro-destra: quelli della grande impresa, della grande finanza, di Bruxelles. Esagerazioni? Chi lo pensa rifletta sui concetti che il probabile, nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi ha espresso qualche giorno fa in televisione parlando di sistema previdenziale. Le riassumo qui usando la sintesi fatta dal sito sbilanciamoci.info.

In estrema sintesi, la posizione espressa da Renzi è la seguente:
1) spendiamo troppo in pensioni e troppo poco nel resto del welfare, ergo dobbiamo ridurre la spesa pensionistica e spostare risorse sulle altre componenti del welfare, asili nido in primis;
2) il nuovo sistema pensionistico contributivo restituisce ai cittadini quello che ci hanno messo, mentre il vecchio sistema retributivo era troppo generoso, ergo, poiché quelli che sono già in pensione sono prevalentemente a regime retributivo, è legittimo ridurgli le pensioni; 
3) le pensioni elevate, così come quelle pagate a persone andate in pensione troppo giovani, sono uno scandalo e un costo che non possiamo permetterci, ergo è giustificata la riduzione sostanziale di tali importi, con la quale finanziare gli altri istituti del welfare;
4) le pensioni di reversibilità sono sorpassate e si prestano ad abusi, ergo il diritto va drasticamente ridefinito in senso restrittivo.

Capito? Siccome "ce lo chiede l'Europa", il Pd di Renzi (e non credo che molto diversamente farebbe un Cuperlo) si prepara a ridurre drasticamente i costi del sistema pensionistico tagliando non soltanto le pensioni più elevate ma anche quelle di chi è andato a riposo potendo contare sul vecchio sistema retributivo: milioni di persone. Inoltre la scure è pronta a calare anche per le pensioni di reversibilità. E non è che questi sacrifici serviranno a rafforzare lo Stato sociale, visto che sappiamo benissimo dove finiranno questi soldi: al fondo salva stati e al Fiscal Compact, una follia che ci costerà decine di miliardi all'anno per 20 anni (altro che Imu). Capito, amici pensionati che votate per il partito del rigore e del "sogno europeo"? Finora siete stati risparmiati ma tra poco toccherà anche a voi. E, statene certi, anche a quei lavoratori della grande impresa o del pubblico impiego, dalla scuola alla sanità, che ancora mantengono salari e diritti dignitosi.

C'E' DEBITO E DEBITO

Il Sole 24 Ore, noto giornale populista
Questo articolo del bravo Vito Lops del Sole 24 Ore ribadisce con i dati quanto dice l'evidenza economica (e quanto negano ostinatamente governo, giornali e tv, ingannando un'opinione pubblica confusa come non mai):

1. La crisi dell'Eurozona è dovuta al debito PRIVATO esploso con la crisi delle banche nel 2008, non al debito pubblico. Quindi spending review e tagli allo Stato sociale non solo sono iniqui perché colpiscono soprattutto i più deboli ma anche inutili in quanto non aggrediscono la causa principale dell'indebitamento. Fermo restando che gli sprechi vanno perseguiti sempre e comunque, la vogliamo smettere di parlare di tagli, abolizioni e diminuzioni della spesa pubblica, che non sono affatto la soluzione ma accelerano solo l'impoverimento generale della massa a favore dei profitti di pochi?

2. L'Italia ha uno stock di debito - sommando pubblico e privato - assolutamente sostenibile, inferiore per esempio a paesi non certo sull'orlo del disastro come Giappone, Belgio, Olanda, Uk. Però continuiamo pure a dire che siamo i più inefficienti e spendaccioni del mondo e che bene fa la Troika a impedirci l'autodeterminazione!

3. La Germania è ben posizionata in classifica anche perché ai tedeschi è incredibilmente consentito di non contabilizzare i miliardi di euro che annualmente la loro Cassa depositi e prestiti (banca pubblica) inietta nell'economia. In sostanza: a Berlino è allegramente permesso di barare.

Il quarto punto non si desume dallo studio ma lo aggiungo io: continuando con l'austerità in recessione imposta dalla Ue in un regime rigido di moneta unica, fra qualche anno la nostra posizione nella classifica del debito non potrà che peggiorare. Infatti il debito privato crescerà (famiglie e imprese continueranno a impoverirsi) e quello pubblico, che si misura in relazione alla crescita, non potrà che aumentare nonostante i tagli draconiani allo Stato sociale, perché a ogni spending review seguirà un calo del prodotto interno lordo. Capito dove ci stanno portando Monti, Letta, i tecnici e i partiti che li sostengono?

martedì 12 novembre 2013

SE QUESTA E' SINISTRA

Piccoli liberisti crescono: Filippo Taddei
Persino Romano Prodi oggi riconosce che, se la recessione esplosa nel 2007-08 è stata superata in tutto il mondo ma non nella maggioranza dei Paesi europei, la responsabilità è della struttura della moneta unica e delle politiche europee di austerità, e non di mafia, corruzione, burocrazia o pigrizia italica, tutti difetti da combattere duramente ma che non ci hanno impedito - quando avevamo una nostra politica monetaria - di diventare la quinta potenza economica del mondo. 

Ci aspetteremmo quindi che anche gli altri economisti del Pd, soprattutto quelli che non hanno responsabilità di governo e quindi non devono fare la difesa d'ufficio della ditta Letta&Saccomanni, sostenessero questa evidenza. E in primo luogo ce lo aspetteremmo da coloro che hanno il compito di disegnare una strategia di politica economica "di sinistra". Invece ci imbattiamo in un'intervista con Filippo Taddei, consigliere economico del candidato segretario Giuseppe Civati, uno che si definisce "di sinistra", appunto, e leggiamo un'analisi uguale a quella che potrebbero fare un Monti, un Draghi o un Olli Rehn. Un'analisi che non chiama in causa l'Europa e che si può tranquillamente definire liberista (e quindi di destra. Sì, amici del Pd: Monti e Draghi, anche se vi piacciono tanto, sono di destra. E il liberismo, con buona pace di Tony Blair e di Matteo Renzi, non è di sinistra, se le parole della politica hanno ancora un senso).

Sto esagerando? Leggete l'inizio dell'intervista (che poi è quello che conta) e giudicate voi. In corsivo ho inserito i miei commenti.

Domanda - Ma la crisi internazionale è davvero, come dicono alcuni, Berlusconi su tutti, la maggiore responsabile del collasso del sistema Italia? 
Qui si vuole far intendere che la spaventosa bolla finanziaria del 2007-2008 che ha mandato gambe all'aria l'economia e la finanza internazionali non ha provocato la recessione anche in Italia ma ha solo accelerato una situazione di degrado che era tutta interna al Paese. Naturalmente si dà per scontato che la colpa sia del governo Berlusconi ed infatti è per questo, annota malignamente l'intervistatore, che il Cavaliere se la prende con quel piccolo dettaglio che fu la crisi dei mutui subprime! Chunque sappia due dati di economia invece sa che è la crisi di Wall Street che ha mandato in recessione tutto il mondo occidentale  e che il mondo occidentale ne è uscito (esclusa guarda caso l'Eurozona, dove si continua a stare male) applicando politiche di quantitative easing. Cioè quell'iniezione di liquidità che fa tanto schifo alla Bce. Macché Lehman Brothers, vorrebbe farci credere l'intervistatore, la crisi è arrivata anche in Italia perché c'era Tremonti!

Risposta - La crisi internazionale è stata per l’economia italiana solo l’effetto marginale. Dal 2001 al 2007 eravamo già l’economia che cresciuta meno, in termini di reddito medio reale, tra tutti i paesi dell’OCSE. Non è un iperbole ma un fatto. 
Che l'economia italiana non se la passasse bene anche prima dell'esplosione della bolla dei derivati, è vero (anche se, come detto, definire "marginale" un evento di quella portata è risibile). Il punto è che Taddei non individua affatto le ragioni reali per cui da tempo ce la passavamo maluccio. E se la prende, oltre che con le "deficienze strutturali", come vedremo, con il solito Berlusconi. Dice infatti Taddei: la nostra economia era quella che cresceva meno in tutta l'Ocse nel periodo 2001-2007. Periodo, guarda caso, nel quale al governo c'era il Cavaliere! Mi duole tanto dover difendere Berlusconi, per cui non ho nessunissima stima, però mi chiedo: perché Taddei non dice che è tutta l'eurozona e non solo l'Italia a soffrire da oltre 20 anni di bassa crescita? Questo ha a che vedere solo con la mafia e Berlusconi o per caso anche - e molto di più - con la moneta unica e coi parametri di Maastricht, che guarda caso furono elaborati 20 anni fa? Sa o non sa l'egregio Taddei che l'Italia negli ultimi 20 anni ha avuto un sostanzioso surplus commerciale soltanto nel periodo 1993-1997, ovvero quando - ma guarda un po' - il Paese è uscito dal cambio fisso (prima Sme, poi euro)? Berlusconi è stato per caso al governo anche in Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia e magari anche Francia, visto che l'economia francese si sta avvicinando sempre più a quella degli altri Paesi in difficoltà? Si cominci a dire che - area del marco a parte - la crescita in Europa è tremendamente lenta da 20 anni a causa dell'euro e di Maastricht. Poi si potrà parlare anche di quelle ragioni, tipicamente italiane, per cui da noi le difficoltà sono state forse maggiori che altrove.

Eravamo un modello di crescita economica dopo la seconda guerra mondiale, oggi siamo l’economia più ferma tra tutte le economie sviluppate. Prima della grande recessione internazionale, malgrado un sistema fiscale sconsiderato, una pubblica amministrazione inefficiente e uno stato sociale inadeguato a rispondere alle nuove esigenze del lavoro (sicuri che scuola e sanità pubblica non rispondessero alle "nuove esigenze di lavoro"? O non rispondevano al desiderio di profitto di certi grandi gruppi?), il nostro sistema produttivo riusciva a mantenere faticosamente le proprie posizione nei mercati internazionali. Vivevamo di piccoli margini, perché dovevano far fronte a deficienze strutturali che ci mettevano in svantaggio con gli altri paesi.
Bisognerebbe qui spiegare a Taddei che i margini erano diventati piccolissimi non perché c'era la mafia, la burocrazia, i tribunali che non funzionano, la corruzione, e magari aggiungiamoci pure la scarsa voglia di lavorare e Mediaset che ha reso milioni di italiani stupidi e senza valori, ma soprattutto perché le imprese avevano cominciato a trovare difficoltà enormi nel vendere le loro merci. Esportare era diventato più difficile, perché dal 2002 usavamo una valuta troppo forte per la nostra economia, mentre i nostri maggiori competitors, i tedeschi, ne usavano una troppo debole. E il mercato interno, a causa della diminuzione della spesa pubblica per rientrare nei parametri europei e a causa dell'abbattimento dei salari, necessario per competere nell'export in assenza della leva del cambio, si era impoverito pesantemente. Conseguenza: il calo della domanda, che ha messo in ginocchio la nostra economia produttiva e ha creato milioni di disoccupati. Insomma, dire che siamo in recessione per Berlusconi, perché "non abbiamo fatto le riforme" e per "le deficienze strutturali del Paese" è parziale e tendenzioso. Siamo entrati in recessione come tutto il mondo a causa della gigantesca bolla esplosa nel 2007 e rimaniamo in crisi, come tutti gli altri Paesi dell'eurozona ad esclusione della Germania, per colpa della moneta unica e delle politiche imposte da Bruxelles. Infatti fuori dall'Eurozona la recessione è già un ricordo. Possibile che i Paesi con "deficienze strutturali" si trovino solo nell'area dell'euro?

La crisi ha solamente accelerato il processo di declino. Ha aumentato il costo del credito e la pressione fiscale e, contemporaneamente, ha ridotto i servizi. Sbagliato, caro Taddei. La crisi - causata dalla liberalizzazione indiscriminata della finanza promossa dai Blair e dai Clinton (vedi abolizione della Steagal-Glass) - avrà ridotto il credito, ma la pressione fiscale è aumentata anche perché Maastricht esigeva il rispetto di strettissimi parametri. Non si può tacere sempre il ruolo dell'Europa se si vuole spiegare la recessione.

A quel punto il nostro differenziale di produttività rispetto ai nostri concorrenti non è più bastato. Aumentando i costi effettivi che gravano sul nostro sistema produttivo, si sono di fatto annullati i piccoli margini faticosamente conquistati. Eravamo in equilibrio precario e facevamo finta di nulla. Con la grande recessione, il nostro sistema produttivo, anche la sua parte sana e migliore, non è più riuscita a controbilanciare le deficienze strutturali del paese. La necessità di riformare questo paese non è stata forte come oggi da almeno 25 anni”. Eccoci alla conclusione del ragionamento, logica conseguenza della diagnosi fatta: bisogna fare le riforme, come direbbe un Monti qualunque! Peccato che fare le riforme richieda degli investimenti e che di soldi, dovendo rispettare i parametri europei, non ce ne siano. A meno che non si continui a colpi di spending review. E' questo che propone Taddei?

Per concludere. L'analisi di Taddei sulle cause della recessione è falsa (da propagandista di partito e non da economista) e anche pericolosa. Perché sia falsa credo che sia chiarissimo: la recessione in cui si trova l'Italia perdura non a causa dei nostri difetti nazionali o strutturali ma - come dicono tutti gli economisti - dalle politiche di Ue e Bce. Ma è anche una visione pericolosa - per chi ha a cuore la giustizia sociale - perché individua il nemico sbagliato: per Taddei vanno combattute le inefficienze del sistema-Paese, come dicono i Giannino e i Monti, ma non questa Europa e il modello mercantilista di capitalismo che la domina (più io imprenditore abbasso i salari, più esporto, più esporto più faccio profitti). Questo modello, anzi, che pure è un modello di destra, liberista fino al darwinismo sociale, non viene nè contestato nè criticato. Dite un po' voi se questa è un'analisi - e una terapia - di sinistra.

domenica 10 novembre 2013

KRUGMAN E LE BUGIE DI LETTA

Populisti: il premio Nobel per l'Economia Paul Krugman

Mario Draghi’s surprise rate cut is, in effect, a repudiation of the nascent triumphalism of Europe’s austerians.
(Paul Krugman)

Vi è chiaro? Se la Bce taglia i tassi, significa che c'è pericolo di deflazione. E se c'è pericolo di deflazione vuol dire che Letta e Saccomanni, ma anche Olli Rehn, quando parlano di "ripresa" - indotta dalla demenziale politica di rigore europea - mentono. Non ci sarà nessuna ripresa con queste politiche: le cose continueranno a peggiorare per il 90% degli europei (e a migliorare per il 10% più ricco). Fidatevi (non di me, di Krugman e di una bella pattuglia di premi Nobel come lui).

sabato 9 novembre 2013

POPULISMO AD USUM GONZORUM

Il commissario Ue alle politiche monetarie Olli Rehn dà disposizioni contro il populismo















Come mai Spagna, Francia e Portogallo possono sforare i parametri europei mentre l'Italia manco può chiedere di sfondare di un misero 0,1% il rapporto debito-pil, (che rappresenterebbe comunque un aiuto piccolissimo per la sua economia boccheggiante)? Perché ci sono due pesi e due misure? Ma perché così conviene alla Germania!

Ce lo spiega l'economista Alberto Bagnai: "Quando a maggio l’Italia è rientrata dalla procedura d’infrazione riguardo il 3% nel rapporto deficit/Pil, pochi giorni dopo la Commissione Ue ha accordato a Francia, Spagna e Portogallo il permesso di derogare da questo obiettivo e di rientrare con più calma. In questo momento la Spagna ha un deficit pubblico intorno al 7%. Per la Germania l’Italia è infatti un concorrente, e quindi va costretto a seguire politiche di austerità per indebolire la sua struttura produttiva. Viceversa la Spagna per Berlino è soprattutto un debitore, e quindi se la strozzasse imponendole di seguire pedissequamente politiche di austerità, correrebbe il rischio di non rivedere i soldi indietro."

In pratica, non solo in Europa non esiste solidarietà ma neppure rispetto delle regole, dal momento che, se il Paese più forte vuole, esse possono essere tranquillamente infrante.

Bollare come populista chi denuncia questo sistema iniquo che sta ingigantendo l'esercito dei disoccupati in tutta Europa (mentre nel resto del mondo, chissà perché, la recessione è alle spalle da un pezzo), è un artificio che i Letta, gli Scalfari, i Monti e i giornalisti del partito unico dell'euro amano agitare onde evitare un dibattito nel merito che li metterebbe alle corde. Ma questo non è sorprendente: è facile capire che costoro agitano un falso problema per nascondere quello vero, da cui dipendono le loro carriere e i loro privilegi, e quindi ricorrono alla menzogna per rimanere in sella. Mica hanno la vocazione degli eroi - e neanche quella delle persone interessate al bene comune! Desta sorpresa invece che ci siano ancora tanti ingenui i quali, pur leggendo costantemente giornali e siti di informazione - quindi senza la scusa dell'ignoranza - ancora abboccano alle bugie e agli slogan propagandistici di lorsignori. Colpisce il fatto che ci sia ancora gente "informata" che non ha capito come la parola "populismo" venga usata strumentalmente e a sproposito per squalificare - senza argomenti - chi dissente con obiezioni motivate e suffragate ormai da una valanga di dati. Sarebbe ora che questi gonzi si svegliassero. Altrimenti rischia di essere troppo tardi per tutti, anche per chi pollo non è mai stato.

mercoledì 6 novembre 2013

BASTA CON I MORALISMI (SBAGLIATI)

Ogni tanto cerco di capire che aria tira tra la gente leggendo i commenti dei lettori dei giornali online. A dire il vero la gente comune, l'uomo della strada, beh, quello si incontra nei negozi e nei bar e so già come la pensa: pur non sapendo bene perché, senza comprenderne con precisione le dinamiche, costui ha capito che l'euro è una bella fregatura e che da quando c'è siamo tutti più poveri - e abbiamo una società corrotta e ingiusta come e peggio di prima: evidentemente il "vincolo esterno" non ci ha fatto diventare migliori.

Il lettore da giornale online invece è apparentemente più colto e preparato, ma anche meno istintivo, più ideologizzato e anche per questo più lontano dalla verità. A dimostrazione che, se il sistema mediatico disinforma, leggere tanto può essere peggio che non leggere niente. Ed ecco infatti che, leggendo sul sito del Fatto Quotidiano un articolo sulle responsabilità tedesche nell'attuale crisi dell'Eurozona, mi imbatto nel commento del classico lettore colto o semicolto, il quale, bombardato da anni di moralismo mediatico in cui austerità e produttività a basso costo (ovvero ottenuta abbassando i salari) sono stati celebrati come il massimo valore civile di un popolo, così commenta: "Non si vede perchè la Germania dovrebbe limitare le proprie esportazioni dal momento che ha buoni prodotti, buona immagine, buon marketing e un sistema-paese che funziona. Semmai gli altri dovrebbero chiedersi perchè non riescono a tenere il passo". 

Solone
Un Solone dei nostri tempi

Il solito discorso, apparentemente meritocratico e logico, con cui economisti a libro paga della Ue, tecnici messi al potere senza essere stati eletti da nessuno e gran parte dell'apparato mediatico hanno martellato negli ultimi anni il lettore e telespettatore medio italiano. Ma si tratta anche di un discorso ormai insostenibile, che non ha alcuna base economica ed è invece l'esempio di ciò che non si dovrebbe mai fare: spiegare una disciplina - l'economia e la politica economica - non con i suoi propri parametri ma con i parametri di un'altra disciplina, l'etica - e per di più un'etica distorta, grossolana, un tanto al chilo. Stanco di ascoltare simili discorsi, ecco come ho risposto - forse in modo anche duro ma, spero, efficace. 

"Se la Germania vuole arricchirsi esportando verso gli altri Paesi dell'eurozona, quindi comportandosi come CONCORRENTE, perché ha aderito a un'unione economica e monetaria con tali Paesi? La Germania da 12 anni si becca il vantaggio di esportare con una moneta SVALUTATA (tale è l'euro rispetto al marco), di conseguenza deve almeno in parte re-equilibrare tale vantaggio trasferendo risorse nei Paesi meno forti. I tedeschi non intendono aiutare i partner europei che comprano loro le merci, perché - come scrive lei - non hanno colpa ad essere più produttivi? Benissimo. Ma allora devono usare il marco, non l'euro. E' una questione di logica elementare. Possibile che dopo mesi di dibattito ci sia ancora gente che non capisce che un'unione monetaria tra Paesi con economie profondamente diverse non regge a meno che non ci sia un serio bilancio federale, cioè trasferimenti di capitali? E che se tali trasferimenti non ci sono, allora bisogna che ogni area abbia una propria moneta adeguata al peso della sua economia? Possibile che ci sia ancora gente come lei che ragiona di economia come se fosse morale? Al contrario di quanto vi hanno fatto credere, la svalutazione non è di per sè una scelta immorale, ma in gran parte è un meccanismo automatico del libero mercato (e se fosse immorale, i tedeschi, che operano con una moneta svalutata dal 2002, sarebbero i più scorretti di tutti, non i più virtuosi). Il debito non è necessariamente immorale (è la base del capitalismo). Il credito non è necessariamente virtuoso (è virtuoso prestare a chi sai che non ti potrà ripagare, come hanno fatto le banche tedesche con la Grecia?)."

Aggiungo ora: fino a quando dovremo ascoltare questo moralismo da quattro soldi, e per di più autolesionistico, applicato alla politica economica? Quando finalmente potremo parlare di soluzioni concrete senza il ditino alzato dei Soloni a senso unico? Quando smetteremo di esaltare le presunte virtù altrui, anche quando sono difetti, e ci metteremo a lavorare seriamente per eliminare i nostri vizi e, semmai, per esaltare le nostre qualità?

martedì 5 novembre 2013

TU QUOQUE ROMANO?

Persino Romano Prodi deve ammettere che l'euro così come è stato costruito è insostenibile e che cianciare di "più Europa", come fanno i suoi compagni di partito, quando i tedeschi invece non ne vogliono sapere, è pura utopia. Purtroppo il Professore non ha l'onestà intellettuale di chiedere semplicemente scusa per l'errore fatto ma, nella fregola di dimostrare che il pasticcio si può ricomporre, si azzarda a proporre una via di uscita. Lui e i suoi colleghi sbagliarono anni fa a farci entrare, chissà mai che almeno sappiano come farci uscire dal tunnel, qualcuno potrebbe illudersi...

Leggiamo allora la brillante idea di Prodi: «La mia proposta è di escludere temporaneamente dal computo del deficit i 51 miliardi versati dall’Italia alla solidarietà europea e usare quelle risorse per investimenti pubblici straordinari». Ma bravo Romano! Hai appena finito di dire, nella stessa intervista, che cambiamenti dei parametri - e quindi anche dei numeri del fondo salva stati - sono praticamente impossibili in quanto non esiste una Europa forte («oggi ci sono solo i Paesi e uno solo al comando, la Germania. Anche la Bce, che pure, con Draghi, è l’unico potere forte europeo e ha fatto tanto, non è onnipotente. Ha uno statuto e la Bundesbank in consiglio...». Giustissimo. E pensare che quando le dicevamo noi, queste cose, venivamo visti come dei marziani, ndr.) e poi vieni a suggerirci che la soluzione sarebbe quella di chiedere ai tedeschi di "abbuonarci" 51 miliardi escludendoli dal computo del debito pubblico?  

Ma, egregio Professore, se questa fosse una via percorribile, sarebbe già stata messa in atto, i tedeschi ci permetterebbero di sforare temporaneamente i parametri - mentre manco lo 0,1% nel rapporto deficit/ Pil ci concedono, altro che 51 miliardi! - il problema Eurozona non esisterebbe, ci sarebbe già "più Europa" e l'Unione sarebbe una confederazione di Stati che coordinano le proprie politiche economiche, invece di farsi concorrenza a suon di esportazioni. Ma non lo vede, Professore, che la sua proposta non ha nessuna chance di realizzarsi perché politicamente insostenibile?