lunedì 13 gennaio 2014

LE TRE LEZIONI DEL BLUFF HOLLANDE


Il presidente francese nel tempo libero ama andare in moto
Hollande è nei guai fino al collo ma in questa sede le sue vicende personali interessano poco o nulla. Il fatto è che la popolarità del presidente francese non è calata oggi per questioni di vita amorosa ma è in picchiata da mesi per ragioni - molto più serie - di politica economica. La Francia in questo ultimo anno ha infatti mostrato un peggioramento continuo nell'economia reale e nella finanza pubblica, che Hollande sta contrastando con le stesse, dolorose e inefficaci misure di riduzione della spesa pubblica che vengono somministrate ovunque nell'Eurozona. La scontentezza dei francesi verso il loro presidente viene da qui ed era facilmente preventivabile, così come è preventivabile un'ulteriore ascesa del Front National. La parabola discendente di Hollande dimostra almeno tre cose che sosteniamo da mesi, anzi da anni, e che all'inizio venivano accolte con scetticismo (o addirittura respinte con arroganza da qualche incompetente) e che ora sono chiare come il sole:

1. L'Eurozona è un vestito fatto su misura dell'area del marco: va bene solo a Germania, Austria e forse Belgio. Tutti gli altri Paesi sono prima o poi destinati al disastro, un disastro che presto o tardi coinvolgerà anche la Germania, privata dei suoi mercati di sbocco (che non sono certo la Cina o l'India ma proprio la Ue);

2. Il disastro non colpisce solo pigri e inefficienti Paesi mediterranei ma sta per arrivare anche a popoli "virtuosi" e nordici come il francese, l'olandese e il finlandese. Ergo, le spiegazioni di tipo culturale, etico o antropologico ("se siamo in crisi non è per colpa dell'euro ma perché abbiamo la mafia, la corruzione, Berlusconi, la burocrazia ecc.") sono sbagliate e fuorvianti. Esistono certo anche questi problemi ma sono secondari. La verità è che siamo in crisi perché l'Eurozona crea squilibri crescenti insostenibili e condanna la maggioranza della popolazione a disoccupazione, precariato e bassi salari, in nome di profitti crescenti per i grandi gruppi industriali e finanziari;

3. Hollande è come Letta o Renzi: è di sinistra solo nominalmente e non ha nè il coraggio nè l'intenzione di contrastare il disegno liberista di Bruxelles e dei mercati, che anzi serve fedelmente. E' il "macellaio dal grembiulino rosa" (per dirla con Alberto Bagnai): la distruzione dei diritti sociali ed economici del Welfare fa meno impressione se a condurla è un governo di (sedicente) sinistra, perché sul rosa del suo grembiule progressista il rosso del sangue dei poveri Cristi si vede meno. Ne consegue anche che coloro che credevano alla favoletta di Letta che assieme ad Hollande avrebbe condotto a più miti consigli quella cattivona di destra della Merkel erano, appunto, dei poveri illusi. La verità è che, non solo in Italia ma in mezza Europa, la sinistra "ufficiale" è diventata liberista quanto la destra e ha tradito la propria funzione. 

Ora rimane da sperare nel popolo francese, uno dei pochi in Europa dotato ancora di orgoglio nazionale (purtroppo, ahimé, anche nelle forme reazionarie alla Le Pen) e soprattutto di attaccamento allo Stato sociale, direi anzi allo Stato tout-court inteso come entità in cui riconoscersi e come attore fondamentale di un'economia in cui il mercato è libero ma subordinato al bene della collettività. C'è da augurarsi che l'opinione pubblica transalpina faccia fare marcia indietro a Hollande e metta in crisi irreversibilmente il lucido e letale progetto di questa Europa della finanza.

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