domenica 7 aprile 2013

PIANTI GRECI

Da quando è iniziata la recessione, quindi già da alcuni anni, i talk show politici propongono continuamente servizi o collegamenti di piazza nei quali piccoli imprenditori, artigiani, commercianti raccontano le loro tristi storie e lanciano una rabbiosa e disperata richiesta di aiuto ai politici. Un copione tristemente consolidato che si conclude sempre con frasi del tipo: "Basta chiacchiere, politici, fate qualcosa per la gente", "Perché non ascoltate le esigenze della piccola impresa, che è la spina dorsale del Paese?", "Qui ogni giorno le imprese e i negozi chiudono, la gente si suicida e voi nel Palazzo non agite, anzi non vi siete neppure tagliati gli stipendi". Manifestazioni di questo tipo sono senz'altro drammatiche e sincere ma - duole dirlo - non servono in realtà a nulla, nemmeno ad alzare lo share dei programmi che le ospitano, visto che al senso di pietà subentra ormai l'assuefazione. E il motivo è presto detto: questa gente, che ha gravi problemi ed è disperata, alla classe politica, magari presente in studio, fa richieste generiche che non colgono il cuore del problema

E' inutile appellarsi ai costi della casta: la causa dei fallimenti e dei suicidi non sono certo i vitalizi o le auto blu, fattori che incidono in misura ridicola sul Pil, anche se hanno un forte valore simbolico. Ma ancora più inutile è accusare i politici di "non fare nulla per il Paese", "non pensare alla piccola impresa e al commercio" e via di questo passo. I rappresentanti dei partiti avranno infatti sempre gioco facile nel rispondere che non è vero, che si impegnano, che lottano, che hanno fatto questa o quella proposta di legge. La verità è che le categorie dei lavoratori (e questo vale anche per i sindacati del pubblico impiego e delle grandi imprese) dovrebbero prima avere chiare le cause della recessione, poi chiedere ai politici di eliminare o ridurre quelle cause. Senza capire l'economia e cosa veramente sta distruggendo il lavoro e il commercio, sarà impossibile mettere i politici davanti alle loro responsabilità. Ovvio che non tutti i lavoratori e i piccoli commercianti possono diventare degli esperti di macroeconomia. Ma oggi, se non vuoi essere triturato da un sistema dell'informazione asservito ai poteri politici o semplicemente superficiale, almeno un po' anche il panetterie e il piccolo imprenditore devono studiare. E sicuramente hanno il dovere di studiare almeno i dirigenti delle associazioni di categoria, sempre pronti a fare la contabilità dei fallimenti, dei suicidi e della disoccupazione ma incapaci di indicare chiaramente ai loro iscritti le vere cause di questo dramma: leggi che favoriscono la speculazione finanziaria, movimenti indiscriminati dei capitali, drammatici squilibri dovuti alla moneta unica europea che non possono certo essere superati finché il nostro governo accetterà follie come il Fiscal Compact e i parametri imposti dalla Bce.

Se i politici verranno incalzati a fare la loro parte per rivedere i Trattati europei e a introdurre misure che limitano o tassano la speculazione finanziaria, allora si muoveranno per paura di perdere voti e consensi. Ma finché le lamentele saranno generiche o si rivolgeranno all'obiettivo sbagliato o quantomeno secondario, non cambierà mai nulla. Bisogna che le associazioni di categoria e io sindacati dicano chiaramente ai lavoratori che rappresentano che, finché siamo prigionieri di questa Europa, soldi per investire e superare la recessione non ne avremo mai. E che quindi è su questo punto che bisogna incalzare la classe politica. Lo faranno? Il tempo stringe e per ora non vedo nessuna volontà in questa direzione. Purtroppo sindacati e associazioni di categoria sono diretti in molti casi da persone legate al ceto politico e ai partiti tradizionali e rappresentano una burocrazia, probabilmente anche priva della necessaria cultura economica, che difende lo status quo e non vuole disturbare i manovratori. Figuriamoci se costoro hanno voglia di mettere all'angolo una classe politica che ha sempre fatto quello che desiderava la grande finanza e la lobby di Bruxelles.

Ps- Uno dei dirigenti di categoria più attivi è il presidente della CGIA (Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre) Giuseppe Bortolussi. Spesso intervistato in televisione e sui giornali, promuove e pubblica attraverso la CGIA frequentissimi studi sul mondo dell'artigianato, il commercio, la piccola e media impresa, infarciti di numeri sconfortanti sulle cadute dei fatturati, i fallimenti, la disoccupazione e così via. Ha anche appena pubblicato un libro dal titolo inequivocabile, "L'economia dei suicidi". Secondo Bortolussi, le cause dei disastri che con tanto rilievo racconta nei suoi studi e nel suo libro è la cattiva amministrazione dell'economia italiana, tra burocrazia, tasse, sprechi e inefficienze. L'euro, il Fiscal Compact, l'Europa? Quasi mai citati. Eppure Bortolussi dovrebbe ricordarsi - visto che all'epoca era già alla guida della CGIA - che una ventina di anni fa l'economia andava molto meglio nonostante burocrazia, tasse, sprechi e inefficienze esistessero come oggi. Eravamo italiani anche nel 1994, no? Perché Bortolussi, tanto bravo a raccogliere dati sul dramma sociale della recessione, non si pone anche qualche domanda sulle evidenti responsabilità dell'Europa? Non sarà mica perché da anni ricopre cariche politiche all'interno di quel centro-sinistra che ha sempre magnificato questa moneta unica, per caso?

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